Grecia, la nuova consapevolezza della protesta




La pressione e la brutalità delle politiche economiche esercitate dal governo o chi per esso, non hanno permesso a un'intera società di riorganizzarsi, di pensare ai modi e ai tempi di una reazione ordinata, metodica e, soprattutto politica.
In occasione del 15 ottobre, giornata nella quale si sono dati appuntamento i movimenti che protestano contro le politiche economiche di molti governi, i greci, già da due anni, si trovano nella posizione di chi sta subendo il neo-liberismo nella sua forma più dura. Al tempo, era lo scorso maggio quando gli "aganaktismeni", gli "indignati" ellenici, occuparono le piazze di molte città e l'occupazione di Piazza Syntagma, ad Atene, ebbe termine a fine luglio. Che cosa sia successo all'indignazione greca e cosa sia possibile prevedere circa i fermenti sociali futuri, è Ghiorgos Kontostavlos, sociologo, a spiegarlo.
Sono quasi due anni che la società greca vive sulla propria pelle il pieno spiegamento delle politiche neo-liberiste. L'indignazione delle piazze si è espressa da maggio fino a luglio, coinvolgendo, in tutto il Paese, circa due milioni e mezzo di persone. D'altra parte, nelle ultime settimane, le occupazioni di uffici pubblici, gli scioperi e le manifestazioni sono diventate un fenomeno quotidiano. Il 19 ottobre i sindacati hanno indetto uno sciopero generale di 48 ore che, con ogni probabilità, sarà massiccio. Sono, questi, elementi utili a capire se la protesta delle piazze di tutto il mondo, programmata per il 15 ottobre, avrà successo in Grecia, ad Atene se non altro, dove, però, gli "indignati" tacciono da agosto?
Credo che il valore politico di un movimento che va diffondendosi ovunque sia, in Grecia, attenuato dal fatto che qui non esiste la tradizione della società civile. Al suo posto, storicamente, si sono sviluppati solo rapporti clientelari, che si imposero già alla fondazione dello Stato greco, nel 1821. I partiti politici borghesi non si formarono, infatti, che nel 1910 mentre, parallelamente, tutto il XX secolo fu costellato da dittature che ponevano, al loro centro ideologico, il rapporto fra società ed esercito; quest'ultimo sostenne sempre il ruolo di depositario del potere, mentre paternalismo e populismo penetrarono la coscienza politica dei greci, governanti e governati.
La vera tragedia, però , seguì la seconda guerra mondiale e quella civile: fino al 1974 e alla caduta della giunta militare instauratasi nel 1967, la Grecia visse in condizioni di paura, violenza e illegalità, che non colpivano solo la sinistra ma chiunque fosse semplicemente democratico. Ciò ha significato che i greci non abbiano mai potuto imparare a vivere all'interno di una società abituata a rivendicare, sentendo di dover delegare le proprie esigenze a capi, a uomini politici di carisma populista, che hanno guidato il Paese fino alla metà degli anni '90.
Seguendo il suo capo, grande parte della piccola e media borghesia e degli impiegati statali è andata costruendo una società che, nel giro di meno di due anni, va ora disfacendosi. Quando non hai soldi per pagare la luce e il gas, si pone una questione di democrazia, relativa ai diritti sociali e allo sviluppo della società civile. Ma prima ancora, quando non hai soldi per fare benzina e devi usare l'auto per andare al lavoro che non sai se avrai fra due mesi, vivi uno shock.
Ora, io credo che la società greca sia quella più colpita in Europa e credo anche che non si sia ancora ripresa: non ne ha avuto il tempo, infatti. La pressione e la brutalità delle politiche economiche esercitate dal governo o chi per esso, non hanno permesso a un'intera società di riorganizzarsi, di pensare ai modi e ai tempi di una reazione ordinata, metodica e, soprattutto, politica.

Siamo ancora dolenti per i colpi ricevuti che continuano e si intensificano, eppure credo che qualcosa stia succedendo. Sono molti gli indizi che mi portano a credere che, piano piano, la società greca si stia rendendo conto della violenza esercitata dai centri politici e decisionali che governano il Paese. In questo quadro, direi che il movimento delle piazze, che non mi piace definire "indignati", non sia stato sconfitto ma si sia ritratto e si stia riorganizzando. La rabbia, ormai, si è consumata e, poco alla volta, si sta formando un'onda costituita da persone che sanno di essere state depauperate e hanno deciso di riconquistare la loro vita e non quella che avevano prima.
Non so se il 15 ottobre a Syntagma ci saranno tante o poche persone, sicuramente quelle che parteciperanno alla mobilitazione saranno diverse, cambiate da una nuova consapevolezza.
Colpisce il pensiero espresso da una degli "indignati" della primavera scorsa: "mi hanno trasformata in una persona piena di rancore e aggressività, che fa fatica a ricordare il rispetto per le istituzioni".
La crisi economica è evoluta in crisi della democrazia. Il governo ha agito in modo spesso incostituzionale, basti pensare al numero di misure approvate dalla maggioranza parlamentare che incidono sul 2014 o sul 2015, anni in cui il mandato dell'esecutivo attuale sarà scaduto. Si deve, poi, prendere in considerazione il ruolo della maggior parte dei mezzi di informazione, divenuti centri di propaganda governativa sistematica. I cittadini, ormai, hanno perso la fiducia e si sentono assediati, mentre sanno benissimo che i sacrifici che fanno non servono assolutamente a nulla. Questo è un primo passo, molto importante; quello che ora si rende necessario è incanalare la rabbia e trasformarla in progetto politico.
Tutti i sondaggi concordano circa tre aspetti: il 36 per cento risponde che non sa cosa voterà alle prossime elezioni, il bipolarismo storico è in crisi e la sinistra, nel suo insieme, raccoglie il trenta per cento dei consensi.
La partita politica si gioca, e continuerà a giocarsi, attorno a chi sostiene le scelte dettate dai creditori della Grecia, da una parte e, dall'altra, attorno a chi vi si oppone. Le forze politiche dell'opposizione devono trovare un'alternativa realistica, capace di convincere l'enorme numero di cittadini che, oggi, dichiarano che non andranno a votare. L'astensionismo registrato dai sondaggi è molto preoccupante e non fa che confermare quello che credo essere il problema più grave che abbiamo: la crisi della democrazia e delle istituzioni. In questo credo che la Grecia non possa risolvere da sola i suoi problemi. Solo attraverso l'azione comune a livello di popoli europei, si può pensare di cambiare le cose radicalmente.

Da Atene,
Margherita Dean