Il Trentino è una delle zone d’Italia dove i pesticidi vengono maggiormente impiegati in agricoltura, per via della presenza preponderante di colture intensive, con particolare riferimento ai meleti non gestiti secondo i principi dettati dall’agricoltura biologica. Hanno suscitato scalpore e preoccupazione i risultati delle analisi sulla presenza di pesticidi nelle urine degli abitanti della Val di Non. La promozione di un’indagine per chiarire la situazione era avvenuta da parte del Comitato NON-Pesticidi, grazie a cui era stata individuata la presenza di pesticidi e dei loro metaboliti nei fluidi biologici degli abitanti.
Inoltre come vengono conservate le mele raccolte? Esse non vengono messe direttamente sul mercato, ma data la sovrapproduzione sono messe in celle frigorifere mantenute con un gas tossico e così quelle che vediamo sul bancone provengono dalle celle in un ciclo per cui non si ha mai la mela fresca.
Su Repubblica nel 2006 è stato pubblicato questo articolo “Bolzano, morti intossicati nella cella frigo
uccisi dal gas per conservare le mele” che riporto di seguito:
Del caso non aveva mancato di interessarsi Legambiente, che già in precedenza, tramite il rapporto “Pesticidi nel piatto”, aveva evidenziato come in Tentino producessero le mele più contaminate. Dai campioni analizzati era emerso come 9 di essi su 22 fossero fuorilegge, a causa di livelli di residui di pesticidi troppo elevati, con particolare riferimento al fungicida denominato Boscalid. La contaminazione delle mele aveva destato un’ancora maggiore preoccupazione nei confronti dell’ambiente circostante le zone della loro produzione, dato l’evidente e sovrabbondante impiego di sostanze chimiche da parte dei produttori di mele su scala industriale. Il Comitato per il Diritto alla Salute aveva inoltre riscontrato la presenza di residui di pesticidi in giardini privati e abitazioni.BOLZANO – Volevano mangiare una mela ma nella cella frigo era stato liberato un gas tossico che serve per conservare più a lungo la frutta. Sono morti così due operai romeni in un grande magazzino di Plaus, in provincia di Bolzano. I due operai, insieme ad un terzo compagno pure romeno, erano incaricati da una ditta di risistemare la pavimentazione di uno dei magazzini dell’azienda frutticola. Il lavoro era stato programmato di notte per consentire durante il giorno le normali attività.
Intorno alle ventidue gli operai si erano fermati un momento per fare uno spuntino. Due di loro sono entrati nella cella frigorifera per prendersi un paio di mele, ma i gas liberati nella cella per conservare la frutta hanno stordito i romeni anche se la porta è rimasta aperta. Crollati a terra, il loro compagno ha tentato di soccorrerli correndo a cercare aiuto: nel frattempo però, gli operai sono morti asfissiati.
Secondo i vigili del fuoco, subito intervenuti, se l’operaio avesse subito trascinato all’esterno i due compagni ci sarebbe stata per loro una possibilità di salvezza. Le due vittime avevano un’età tra i 30 e i 35 anni. La loro identità non è stata ancora resa nota. Sulla vicenda sarà aperta probabilmente un’inchiesta.
Rispetto a tutte le indagini e le analisi fatte fino ad ora, quelle commissionate dal «Comitato per il diritto alla salute» della Valle di Non ad un accreditato laboratorio nazionale impressionano perché, per la prima volta, i pesticidi sono stati ritrovati nelle urine. E con una percentuale sei volte maggiore di quella consentita.
La preoccupazione da parte dei cittadini interessati è rimasta costante negli anni ed ha spinto molti ad aderire al Comitato per il Diritto alla Salute in Val di Non, recentemente accusato della diffusione di falsi allarmismi relativamente ai trattamenti antiparassitari destinati alle più note varietà di mele prodotte nella zona, i cui residui, infiltrandosi nel terreno e rimanendo presenti nell’aria, potrebbero rivelarsi nocivi per la salute. La situazione è stata in seguito monitorata dalla Asl competente, che ha evidenziato come l’impiego di fitofarmaci all’interno delle zone incriminate avvenisse senza alcuna violazione delle norme vigenti.
La questione sembrava dunque risolta, ma uno dei Comuni più colpiti dal fenomeno, ilComune di Malosco, ha deciso di intervenire nei confronti dei melicoltori nonesi stabilendo nel proprio regolamento locale dei nuovi limiti di distanza dalle abitazioni per lanebulizzazione dei pesticidi, oltre al divieto di impiego di alcune sostanze considerate particolarmente tossiche. Lo scorso gennaio, siamo quindi nel 2012, il TAR di Trento ha preso la decisione di respingere il ricorso intrapreso da parte dei melicoltori nei confronti del Comune di Malosco, riguardo allo sgradito regolamento. Esso non riguarda unicamente il divieto di impiego di alcuni fitofarmaci, ma anche l’utilizzo di pali metallici e di reti antigrandine di plastica, la cui presenza non gioverebbe di certo al turismo ed all’unicità della bellezza dei paesaggi delle valli.
Che una simile risoluzione da parte del Tar rappresenti dunque la riprova che le preoccupazioni dei nonesi non fossero così infondate come la stessa Coldiretti aveva sostenuto? Ciò che è certo è che i cittadini più sensibili non si fermeranno di fronte all’avanzamento di quella che viene ormai denominata “monomelindacoltura”, i cui prodotti potrebbero non rappresentare quegli elevati esempi di inattaccabile qualità che le ben note campagne pubblicitarie presentano ai consumatori – ignari, soprattutto se lontani dalle zone di coltivazione in questione – anno dopo anno.
La monocoltura delle mele in Trentino ha portato alla scomparsa progressiva nel corso dei decenni di decine di varietà locali, rappresentative della biodiversità della produzione delle valli alpine e scomparse in nome della standardizzazione delle colture. Fortunatamente, la produzione delle mele della Val di Non, dietro il lato oscuro della medaglia a cui qui viene data luce, nasconde l’impegno di quei coltivatori che da anni si sono attivati per la produzione di mele biologiche e per la salvaguardia di varietà di pomi antichi. Per poter gustare mele del Trentino prive di fitofarmaci e fertilizzanti di sintesi, è possibile fare riferimento ad aziende biologiche come Biomela o Azienda Petri, per citare solo due esempi di impegno più che decennale in una attività di produzione salutare, sostenibile e pulita.