Fino al 15% della carne bovina italiana è trattata con anabolizzanti e sostanze vietate. Lo dice il piano di monitoraggio commissionato dal Ministero della salute
Fino al 15% della carne bovina italiana è trattata con steroidi anabolizzanti, corticosteroidi e altre sostanze vietate. Questo è quanto emerge dai test istologici realizzati in Italia per individuare gli effetti delle sostanze vietate su alcuni organi dei bovini. Con questa tecnica si individuano percentuali decisamente più elevate rispetto ai valori dei test chimici che sono sempre molto tranquillizzanti. In alcuni casi si arrivano a toccare punte del 15%. Sono i preoccupanti risultati dall’ultima relazione del piano di monitoraggio compilata 12 giorni fa dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta che Il Fatto Alimentare è riuscito a visionare.
La questione non è nuova. Possiamo dire tranquillamente che il trattamento illecito dei bovini è una costante negli ultimi 40 anni non solo in Italia ma anche in Europa. L’ultima nostra denuncia risale al 31 dicembre 2013 con un’inchiesta firmata da Valentina Murelli dove si stimava che il 15% dei capi macellati in Italia sono trattati. La percentuale deriva da indagini condotte con un metodo biologico alternativo alle metodiche chimiche, il metodo istologico rapido ed efficace ma non ancora riconosciuto ufficialmente. Dallo screening erano emersi 968 campioni giudicati “sospetti”. Ecco cosa scrivevamo allora.
“Quando vengono utilizzate queste tecniche i risultati sono molto diversi rispetto ai dati estremamente rassicuranti che emergono dai vari piani nazionali. Gli esperti dell’Efsa citano due studi secondo i quali anomalie istologiche imputabili a trattamenti con ormoni anabolizzanti si troverebbero in un numero piuttosto elevato di campioni: dal 5 al 15% in un caso e dall’11,7% al 31,9% nell’altro. Secondo quanto ci era stato riferito dal Centro di referenza nazionale per le indagini biologiche sugli anabolizzanti animali, in Italia il 15% dei campioni esaminati con metodo istologico mostrerebbe non conformità”.
A distanza di sei mesi qualcosa è cambiato. La relazione annuale del Centro di referenza nazionale per le indagini biologiche sugli anabolizzanti animali di Torino, che un collaboratore romano ci ha spedito, conferma il precedente dato sul livello di trattamenti illeciti (fino al 15%) anche se precisa di non poter “fornire stime sul livello di prevalenza regionale o nazionale”.
Dai rilevamenti effettuati in 18 Regioni (vedi tabella) risulta che l’esame istologico condotto su 72 bovini rispetto ad un totale di 514 sono stati classificati come “sospetti” per la presenza di corticosteroidi. Per quanto riguarda il trattamento illecito con ormoni steroidei sessuali i casi “sospetti” sono stati 12 rispetto a un totale di 576 capi esaminati. L’ultimo dato riguarda i casi “dubbi” per trattamento illecito a base di corticosteroidi: 74 su 512 capi (vedi filmato in fondo all’articolo).
La relazione conclude dicendo: “Dall’attività di controllo svolta dalle 18 Regioni aderenti al piano, emerge che il superamento della soglia di positività fissata coinvolge rispettivamente tre regioni nel caso dei tireostatici, sei regioni nel caso degli steroidi sessuali e 15 regioni nel caso dei corticosteroidi”.
L’ultima nota riguarda la costante crescita delle positività negli ultimi cinque anni per quanto riguarda i corticosteroidi. L’incremento di cinque volte è notevole ma è probabilmente dovuto al progressivo miglioramento del sistema di monitoraggio. Questo concetto è importante, ma vuol dire che quasi il 15% dei capi presenti negli allevamenti italiani ha subito trattamenti illeciti negli ultimi 5 anni, anche se probabilmente il sistema va avanti da sempre e non è mai stato interrotto.
Questi controlli devono proseguire e i risultati vanno comunicati al grande pubblico solo così si potrà moralizzare il mercato. Occorre inoltre denunciare le aziende agricole abituate ad usare trattamenti illeciti visto che nella stragrande maggioranza dei casi non vengono “pizzicate”. Solo in questo modo si valorizza il lavoro degli allevatori onesti che, avendo in fase di macellazione rese inferiori, subiscono la concorrenza sleale degli allevatori furbi. Dire no ai trattamenti illeciti salvaguarda anche il buon nome e a qualità della carne made in Italy.
Per rendersi conto di quanto sia diffuso il fenomeno della somministrazione fraudolenta di farmaci vietati, basta dire che la catena di supermercati Coop da molti anni adotta un sistema di controllo che oltre al controllo istologico sui capi prevede il prelievo di sangue e urine nella stalla e in alcuni casi anche al macello per un totale di oltre 1.000 ispezioni e 66.000 analisi.
Secondo il rapporto pubblicato il 2 settembre 2014 dal Ministero della salute, la quasi totalità delle analisi condotte l’anno scorso sui bovini risultano conformi. Su un totale di 38.250 campioni esaminati all’interno del Piano nazionale residui (PNR) solo 46 hanno evidenziato irregolarità (*).
Dopo avere letto il documento il lettore avverte un certo sollievo nel sapere che negli allevamenti tutto funziona in modo quasi perfetto. Io personalmente mi sono sentito preso in giro, perché “le sostanze e i residui che potrebbero costituire un pericolo per la salute pubblica, come le sostanze a effetto anabolizzante e quelle non autorizzate…” di cui si parla il documento, forse non ci sono nelle carni macellate, ma vengono regolarmente utilizzate in centinaia di allevamenti.
I controlli realizzati seguendo le metodiche ufficiali sono oramai da considerarsi inutili, perché non permettono di identificare la frode, tanto che la ricerca delle sostanze vietate nella quasi totalità fornisce esito negativi. Le autorità sanitarie utilizzano infatti metodiche costose del tutto superate, che non consentono di evidenziare l’eventuale somministrazione fraudolenta di anabolizzanti, ormoni e altri medicinali classificati come tossici e cancerogeni, utilizzati per incrementare del 10-15% la massa muscolare degli animali. Negli allevamenti vengono somministrati agli animali micro dosi di diversi medicinali vietati, che sono metabolizzati in poco tempo. In questo modo la presenza nel sangue si riduce in tempi brevi e le analisi evidenziano l’impiego fraudolento solo a distanza di pochissimi giorni dal trattamento (di solito la somministrazione viene effettuata il venerdì sera quando si è sicuri che per due giorni non ci saranno controlli).
Dal 2008 in Italia esiste un piano di monitoraggio realizzato valutando attraverso l’analisi istologica della ghiandola del timo degli animali macellati i cambiamenti indotti dalle sostanze utilizzate a scopo anabolizzante. Il test non è tuttavia riconosciuto come metodo ufficiale. La legislazione europea prevede che i metodi debbano identificare la molecola e i quantitativi, mentre il metodo istologico è un metodo qualitativo e permette di vedere le lesioni causate dal trattamento illegale realizzato con cortisonici, steroidi sessuali, tireostatici. Il vantaggio del metodo istologico è che costa pochissimo ed evidenzia le lesioni nei tessuti anche molto tempo dopo il trattamento fraudolento. In questi anni diversi studi hanno riscontrato fino al 15% di positività tra i capi macellati. Si tratta di dati preoccupanti che l’intero settore delle carni cerca di ignorare a dispetto della serietà dei laboratori che hanno condotto le ricerche. Oltre a questi elementi basati sull’analisi istologica c’è un’altra novità da sottolineare.
L’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle D’Aosta, nell’ambito di un progetto finanziato dal Ministero della salute, assieme al CIBA (Centro di Referenza Nazionale per le Indagini Biologiche sugli Anabolizzanti Animali) e al laboratorio di Genetica ed Immunobiochimica, hanno realizzato unostudio sulle proteine nel sangue per identificare quelle presenti solo quando i corticosteroidi sono usati come anabolizzanti. In questo modo basterebbero dei semplici prelievi per scoprire la pratica illecita. I ricercatori hanno analizzato 23 animali, 10 trattati sperimentalmente con desametasone a scopo anabolizzante, 10 trattati con lo stesso farmaco a scopo terapeutico e 3 non trattati. Sugli animali sono stati eseguiti diversi prelievi di sangue nel corso del trattamento. I campioni sono stati analizzati attraverso l’elettroforesi bidimensionale: un procedimento che permette di isolare e “vedere” le proteine presenti nel campione. Le ricerche vengono svolte in sinergia tra gruppi di ricerca diversi allo scopo di migliorare le tecniche di analisi
Questa analisi ha permesso di ottenere mappe proteiche il cui confronto ha evidenziato la scomparsa di una proteina al termine del trattamento anabolizzante, che invece continua ad esistere negli animali trattati a scopo terapeutico e in quelli del gruppo di controllo. L’applicazione di questo esame molto rapido – se convalidato – potrà essere utilizzato su un numero elevato di animali per individuare quelli che hanno subito un trattamento prima dell’invio al macello.
Aspettiamo con fiducia che queste metodiche vengano al più presto validate ufficialmente, solo così si potrà effettuare un monitoraggio serio sullo stato di salute dei nostri animali da reddito. L’introduzione della nuova analisi permetterà di risparmiare decine di migliaia di euro destinate a test molto costosi ma inutili, il cui unico scopo è supportare report come quello diffuso ieri dal Ministero dove si racconta una realtà simile alla favola di Biancaneve.
(*) Più precisamente 13.850 analisi hanno riguardato la ricerca di residui di sostanze ad effetto anabolizzante e sostanze non autorizzate negli animali, mentre 24.400 hanno riguardato la ricerca di residui di medicinali veterinari e agenti contaminanti nei prodotti di origine animale, come miele, latte, uova.
In questo filmato andato in onda nella puntata di Ballarò del 10 giugno 2014, Giovanni Floris presenta un servizio sugli anabolizzanti utilizzati negli allevamenti bovini , con le interviste agli esperti dell’istituto Zooprofilattico sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta che hanno raccolto e pubblicato i risultati delle analisi effettuate in 18 regioni. In coda l’intervista a Il Fatto Alimentare sull’epidemia causata dai frutti di bosco surgelati .
Roberto La Pira
Fonte: Il Fatto Alimentare
Fonte: Il Fatto Alimentare