In Nepal si interrompe una tradizione che durava da 265 anni, tutto per amore degli animali. È stato infatti sospeso a tempo indeterminato il Gadhimai Festival, il più grande evento che prevede sacrifici animali al mondo. In ogni edizione del Festival – che finora si è svolto ogni cinque anni nel paese asiatico venivano sacrificati circa 500 mila animali: da quest’anno, quindi, mezzo milione di animali saranno salvati. La tradizione, come detto, ha origini antichissime: Bhagwan Chowdhary, fondatore del Tempio Gadhimai, avrebbe ricevuto in sogno il messaggio della dea Gadhimai. In esso gli si chiedeva un sacrificio umano in cambio della libertà dalla prigionia, della protezione dal male, di prosperità e potere: alla dea arrivò un animale sacrificato al posto dell’uomo, ma lei lo accontentò lo stesso.
Nepal, stop al Gadhimai Festival: salvi 500 mila animali
In Nepal si interrompe una tradizione che durava da 265 anni, tutto per amore degli animali. È stato infatti sospeso a tempo indeterminato il Gadhimai Festival, il più grande evento che prevede sacrifici animali al mondo. In ogni edizione del Festival – che finora si è svolto ogni cinque anni nel paese asiatico venivano sacrificati circa 500 mila animali: da quest’anno, quindi, mezzo milione di animali saranno salvati. La tradizione, come detto, ha origini antichissime: Bhagwan Chowdhary, fondatore del Tempio Gadhimai, avrebbe ricevuto in sogno il messaggio della dea Gadhimai. In esso gli si chiedeva un sacrificio umano in cambio della libertà dalla prigionia, della protezione dal male, di prosperità e potere: alla dea arrivò un animale sacrificato al posto dell’uomo, ma lei lo accontentò lo stesso.
Italia: per la prima volta frutta e verdura battono la carne
È una piccola grande rivoluzione per i consumi italiani. Per la prima volta nella storia, infatti, la spesa per frutta e verdura ha sorpassato quella per la carne, ed è oggi la prima voce del budget alimentare delle famiglie. È quanto emerge da un’analisi della Coldiretti, basata sui dati e sulle statistiche Istat dal 2000 a oggi e presentata durante la Giornata dell’ortofrutta al Padiglione Coldiretti a Expo, alla presenza del Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali Maurizio Martina. Secondo i dati, la spesa per frutta e verdura rappresenta il 23% del totale (circa 99,5 euro al mese per famiglia), appena sopra la carne, che si ferma al 22% (e i 97 euro al mese). Uno scalino, tra le due voci, che è decisamente piccolo ma rivoluzionario: mai, infatti, la carne aveva perso il primato nella spesa degli italiani.
L’aumento del consumo di frutta e verdura, secondo la Coldiretti, ha fatto nascere nuove opportunità professionali: a Expo, ad esempio, ci sono i sommelier che consigliano il tipo migliore di frutta da abbinare a un pasto, ma anche gli scultori che realizzano vere e proprie opere d’arte partendo dalle verdure, per finire con gli esperti di coltivazione e di orti. Il risultato italiano, in realtà, segue il trend globale che punta sempre più verso il «riconoscimento del valore alimentare della frutta e della verdura», ha detto il presidente di Coldiretti Roberto Moncalvo, secondo «l’Italia ha il primato europeo nella produzione che genera un fatturato di 13 miliardi con 236.240 aziende che producono frutta, 121.521 che producono ortaggi, 79.589 patate e 35.426 legumi secchi».
Negli ultimi anni, inoltre, c’è stato un diffuso aumento dell’interesse verso la coltivazione “fai da te” di lattughe, pomodori, piante aromatiche, peperoncini, zucchine, melanzane, piselli, fagioli, fave e ceci. Insomma, sempre più gli italiani vogliono il proprio “orto domestico” da cui raccogliere i prodotti che dopo poche ore finiranno sulla propria tavola. «Adesso – continua la ricerca – la passione si sta diffondendo anche tra i più giovani e tra persone completamente a digiuno delle tecniche di coltivazione. Un bisogno di conoscenza che è stato colmato con il passaparola e con le pubblicazioni specializzate».
Fonte: Vegolosi
Zebraburger: ad Expo nuovi animali da assaggiare
Zebraburger: ad Expo nuovi animali da assaggiare Forse la carne di coccodrillo non era abbastanza, quindi ecco che la novità del padiglione dello Zimbabwe apre anche alla carne di zebra. Forse alla fine del mese, forse fra qualche settimana, come annuncia il sito Milano Today, lo zebraburger sarà una realtà ed è annunciato da cartelli appesi alle porte d’ingresso della sezione dedicata al paese africano nel cluster tuberi e cereali con questo slogan “Non sono un asino, sono solo un cavallo bianco sfortunato”. L’immagine, come accaduto la scorsa volta con il coccodrillo, è un disegno pacioso e colorato.
E’ davvero una novità?
Ci sorprende?
Ci sorprende davvero la futura presenza di questa “nuova” carne ad Expo? Per niente. Il messaggio di questa manifestazione è sempre più chiaro: trovare una risposta alla fame nel mondo significa non rivedere quelle che sono le nostre abitudini alimentari, riflettendo seriamente sull’impatto delle nostre scelte e di quelle dell’industria a, cercando di capire che l’assenza di cibo sufficiente per tutti è dovuta principalmente alla gestione scellerata delle risorse ed in particolare delle fonti vegetali e dell’acqua che vengono utilizzate per la maggior parte per nutrire gli animali di allevamento, bensì trovare nuovi animali da mangiare: coccodrilli, zebre, serpenti, insetti. Il nostro pianeta è popolato da 280 milioni di bovini (Fonte: “Ecocidio” Jeremy Rifkin”) e “il rapporto di conversione da mangimi animali a cibo per gli umani varia da una specie all’altra, ma è in media molto alto, 1:15″: un simile spreco di calorie, una gestione così squilibrata di investimento-resa non sarebbe tollerato in nessun sistema produttivo “sano”. In zootecnia questo si chiama “indice di conversione”: quanto cibo “entra” in un animale e quanto ne “esce”. Per non parlare degli “scarti” ossia tutto quello che va poi ad altre industrie non alimentari (pellame, ossa, cartilagini etc.). Per un chilogrammo di manzo servono dai 7 ai 10 chilogrammi di mangime. Non si tratta più nemmeno di questione etica: si tratta di economia. Chiediamo agli organizzatori di Expo: esiste nel programma culturale e di approfondimento della manifestazione una conferenza, un incontro di carattere internazionale che affronti il problema dell’indice di conversione e del suo impatto sull’economia? Forse dovrebbe, anzi senza forse.
Federica Giordani
Fonte: Vegolosi.it
Rifiuti di plastica: 8 pratici consigli per ridurli
Da quando nel 1855 il chimico svizzero Georges Audemars riuscì a produrre in laboratorio il primo materiale plastico, il rayon, è stato tutto un susseguirsi di ricerche ed esperimenti che hanno portato a una diffusione sempre più capillare di questi prodotti e oggi ormai, la plastica è protagonista di ogni momento della nostra vita.
Con la plastica lavoriamo, mangiamo, la ritroviamo nelle auto che guidiamo, nei giocattoli che compriamo per i nostri bambini, nei prodotti cosmetici per la nostra igiene personale e nei prodotti per l’igiene della casa. Ci appare impossibile poterne fare a meno, eppure molti anni fa si viveva benissimo anche senza, e oggi abbiamo la tecnologia che ci dà un aiuto in più.
Non è poi così difficile cambiare alcune delle nostre abitudini. Con un piccolo sforzo iniziale e un po’ di organizzazione, possiamo ridurre moltissimo l’uso di questi materiali e quindi anche l’accumulo dei loro rifiuti che vanno a finire in discarica o nei nostri mari, dove impiegano centinaia di anni per degradarsi e anzi, si riducono in frammenti ridottissimi che entrano a far parte delle catene alimentari, con i danni che questo comporta.
Neanche l’eventuale riciclo riesce ad annullare (visti anche i costi in termini monetari e di energia) l’enorme impatto ambientale di questi polimeri derivanti dal petrolio. Ecco allora cosa possiamo fare:
- Non usare sacchetti in plastica per lo shopping – Le borse di plastica danno un contributo davvero importante all’inquinamento, soprattutto dei mari, basti pensare che sono un trilione i sacchetti che vengono utilizzati ogni anno in tutto il mondo. Riutilizzare lo stesso sacchetto più volte per fare la spesa può sicuramente aiutare, ma si può fare di più: esistono bags in tessuto o materiali naturali che possono essere riutilizzate praticamente all’infinito e che risultano anche più resistenti. La tecnologia ha inoltre scoperto delle formulazioni che vengono elaborate a partire da sostanze naturali e che le rendono, dopo il loro uso, completamente biodegradabili e compostabili, un esempio per tutti, le shopper in Mater-Bi, realizzate a partire dal mais dell’Italiana Novamont.
- Non comprare acqua in bottiglia – Ormai si è diffuso l’uso di acqua in bottiglia, ritenuta più pura perché di “sorgente”. Molti studi hanno evidenziato però come la qualità dell’acqua di casa, la maggior parte delle volte, non sia inferiore a quella dell’acqua di bottiglia. A volte può risultare troppo ricca di calcare o di cloro, ma a questo si può sopperire con l’uso di caraffe con il filtro oppure con un depuratore con filtri ai carboni attivi, non particolarmente costoso.
- A lavoro portare il caffè con un thermos – Il caffè della macchinetta viene servito in bicchieri di plastica usa e getta e tra l’altro spesso non è di qualità così eccelsa. La soluzione ad entrambi i problemi potrebbe essere portare al lavoro del buon caffè fatto in casa tenuto in caldo in un thermos.
- Ridurre il packaging alimentare e sceglierlo in carta, cartone o tetrapack – Nell’era del consumismo ogni prodotto che troviamo al supermercato ha anche la sua versione “monodose”, adatta per piccoli usi o per le persone single, ma spesso organizzandoci meglio possiamo anche prendere confezioni più grandi (che ci fanno pure risparmiare) e ciò che non viene consumato subito si può ad esempio congelare. È possibile poi optare per confezioni in carta, cartone o tetrapack, che oggi in Italia viene riciclato con la carta. Il loro riciclo ha un impatto molto più ridotto rispetto a quello della plastica.
- Acquistare prodotti sfusi – Sia per il settore alimentare che per quello della cosmesi, come per l’igiene della casa, esistono ormai sempre più punti vendita che propongono il commercio di prodotti sfusi. La qualità è la stessa, i controlli garantiscono che si tratti di prodotto fresco e possiamo acquistarli riutilizzando sempre gli stessi contenitori. Per i prodotti alimentari spesso sono disponibili anche sacchetti di carta.
- Pannolini e assorbenti – La plastica viene usata anche per la realizzazione di pannolini per neonati, per anziani e per gli assorbenti per la donna. Qui il suo utilizzo è a senso unico perché per questi prodotti non è previsto il riciclo, vengono infatti smaltiti nell’indifferenziato, finendo inevitabilmente in discarica o all’inceneritore. Esistono però pannolini in tessuto che possono essere lavati dopo l’uso. Richiedono sicuramente uno sforzo in più, ma possono ridurre l’enorme impatto di questo tipo di rifiuti. Per quanto riguarda gli assorbenti femminili oggi ne esistono anche di compostabili, che una volta usati possono essere quindi gettati nell’umido. In alternativa anche questi esistono in versione lavabile, oppure è in commercio da qualche anno la cosiddetta “coppetta mestruale”. Viene inserita all’interno e raccoglie il flusso invece di assorbirlo. Può essere realizzata in silicone anallergico, silicone platinico o in elastomero termoplastico (TPE), può essere poi lavata e sterilizzata.
- Comprare giocattoli in legno – Un po’ la moda, un po’ una maggiore sensibilità ambientale, ha già riportato in auge il fascino dei vecchi giochi in legno. Dagli strumenti musicali alle costruzioni fino alla casa delle bambole, esistono sempre più negozi specializzati o linee di una certa marca che rilanciano il legno come materiale per i giochi dei più piccoli. Un modo per giocare in maniera sostenibile, recuperando anche un po’ il piacere dei giochi della tradizione.
- Eliminare l’usa e getta – Dai sacchetti per il freezer ai rasoi, l’usa e getta presenta sempre un’alternativa. Ad esempio per congelare è possibile munirsi di contenitori in vetro, che sono anche più sicuri perché non rilasciano ftalatinel cibo che mangiamo, mentre per l’epilazione, sia maschile che femminile, esistono rasoi in cui è possibile cambiare solo la parte della lama. Oggetti poi come le cannucce in plastica, che non sono essenziali, possono essere tranquillamente eliminate.
Fonte: Greenstyle
Bioplastiche: poliuretano sostenibile grazie agli oli vegetali
Per ridurre l’impatto ambientale della produzione della plastica, un team di ricercatori americani ha ideato un nuovo metodo che consente di ricavare materie plastiche dagli oli vegetali.
La ricerca è stata coordinata da Michael Kessler, docente della Washington State University’s School of Mechanical and Materials Engineering. I ricercatori della WSU hanno lavorato a stretto contatto con i ricercatori della Iowa State University e dell’Università de Il Cairo. Lo studio, pubblicato sulla rivista specializzata ACS Applied Materials & Interfaces, descrive una nuova tecnica per la produzione del poliuretano che utilizza olio di oliva, olio di lino e altri oli estratti dalle piante.
I ricercatori stanno esplorando da tempo nuovi metodi più sostenibili per produrre il poliuretano. Questo tipo di plastica è molto resistente e può essere impiegata con successo in diversi processi industriali. Per produrre il poliuretano attualmente si utilizza il petrolio.
Le fonti fossili hanno un alto impatto ambientale. La loro estrazione comporta un processo energivoro e invasivo. Inoltre non si tratta di materie prime illimitate. Senza contare che gli oggetti in plastica, sia mentre vengono utilizzati che a fine vita, comportano diversi rischi sotto il profilo sanitario e per quanto riguarda l’inquinamento ambientale.
L’équipe guidata dal professor Michael Kessler ha pertanto cercato di creare unpoliuretano ecologico. Non è la prima volta che la scienza si cimenta in un una simile impresa. In passato sono stati già prodotti dei poliuretani a base di materiali vegetali. Il merito di questa ricerca è di aver prodotto il poliuretano da oli vegetali in pochi passi, ricavando un materiale estremamente versatile che può essere impiegato per realizzare oggetti dalle forme più disparate e molto flessibili.
Un altro vantaggio degli oli vegetali è la loro ampia disponibilità in natura. Anche i costi, rispetto al petrolio, sono nettamente inferiori. Gli oli vegetali sono inoltre materie prime rinnovabili e possono essere manipolati geneticamente per migliorare le rese. I ricercatori americani hanno già avviato una serie di sperimentazioni per produrre poliuretano ecologico.
La bioplastica è stata ottenuta da diversi tipi di olio: olio di oliva, olio di colza, olio di semi di lino, olio di semi d’uva e olio di ricino. Il processo non ha richiesto l’utilizzo di solventi a base di petrolio, a dispetto di quanto avvenuto nelle sperimentazioni effettuate in passato da altri gruppi di ricerca. La produzione di bioplastica è avvenuta inoltre senza impiegare catalizzatori.
In base alle caratteristiche desiderate per il prodotto finale, gli scienziati hanno impiegato oli differenti nel processo. Alcuni oli, come l’olio di semi di lino, sono stati utilizzati per ottenere materiali più rigidi. Altri, come l’olio d’oliva, sono stati impiegati per ricavare plastiche più flessibili.Il poliuretano è stato ottenuto dalla combinazione di due composti chimici. I ricercatori hanno innescato una reazione utilizzando il poliolo, un composto con più gruppi funzionali ossidrilici.
Kessler ha paragonato il processo alle costruzioni con i Lego, affermando che questo metodo apre prospettive interessanti per l’industria delle bioplastiche. Solo nel 2010 nel mondo sono state prodotte ben 4 milioni di tonnellate di poliuretano. Secondo le stime, nel 2016 la produzione è destinata a subire un incremento del 30%. Scovare nuove tecniche produttive più sostenibili diventa dunque prioritario.
Fonte: Greenstyle
Plastica Biodegradabile dagli Scarti delle Patate
Una azienda bolognese specializzata nella produzione di materiali ecosostenibili ha creato è Minerv Pha, un biopolimero ‘green’ che, pur mantenendo le stesse caratteristiche termo – meccaniche delle sostanze che compongono le plastiche tradizionali, è al 100% biodegradabile in natura
L’obiettivo era creare una plastica che non inquinasse l’ambiente, e per riuscirci, la Bio-On, azienda bolognese specializzata nella produzione
L'Isola dei Rifiuti è sempre più Grande
Grande quasi il doppio dell'Italia, è la più grande discarica a cielo aperto del mondo. E galleggia nel bel mezzo del Pacifico
Immaginate una discarica grande più di due volte l'Italia, riempita con ogni tipo di pattumiera immaginabile. Fatto? Perfetto. Ora immaginatela mentra galleggia nel bel mezzo del Pacifico. No, non è un film dell'orrore a tema catastrofico-ambientale, ma una sommaria descrizione del Great Pacific Garbage Patch, meglio nota come l'Isola dei Rifiuti, un immenso ammasso di plastica e immondizia accumulato dalle correnti marine tra la California e le isole Hawaii. (guarda come si crea in questo multimedia)
Un tursiope rimasto intrappolato in un pezzo di plastica nelle acque delle Hawaii (© Flip Nicklin/Minden Pictures/Corbis) |
Mina (ecologica) vagante
Considerata da anni una delle più grandi minacce all'ecosistema oceanico, questa incredibile discarica galleggiante non solo non accenna a ridursi, ma secondo le ultime ricerche si sta addirittura espandendo. Lo affermano gli oceanografi dello Scripps Institute in un articolo pubblicato sull'ultimo numero di Biology Letters. Secondo i ricercatori, l'aumento della massa di immondizia galleggiante sta mettendo in grave pericolo i più piccoli abitanti dell'Oceano.
Considerata da anni una delle più grandi minacce all'ecosistema oceanico, questa incredibile discarica galleggiante non solo non accenna a ridursi, ma secondo le ultime ricerche si sta addirittura espandendo. Lo affermano gli oceanografi dello Scripps Institute in un articolo pubblicato sull'ultimo numero di Biology Letters. Secondo i ricercatori, l'aumento della massa di immondizia galleggiante sta mettendo in grave pericolo i più piccoli abitanti dell'Oceano.
La plastica tradizionale sarà presto sostituita dalla bioplastica, un materiale reperibile in grandi quantità e con numerosi vantaggi per l’ambiente
Quasi quotidianamente sentiamo parlare di bioplastica e di ricerche per la realizzazione di questo materiale più ecologico, e del suoi possibili impieghi per l’uso nell’alimentazione e non solo. Capsule per il caffè, shopping bag, stoviglie monouso; ormai sono molteplici i settori alimentari interessati a questo cambiamento e i polimeri a base bio stanno cominciando a sfidare concretamente le plastiche tradizionali. Diversi studi dimostrano che c’è una maggiore attenzione alla sostenibilità degli imballaggi da parte sia delle aziende sia dei consumatori e questo alimenta la domanda di mercato.
Ci sono bioplastiche realizzate da noccioli di avocado, da rifiuti di carne e da scarti dell’industria del legno o della produzione del biodiesel. Sembra che le vie per ottenere la nuova generazione di sostanze siano innumerevoli e forse si sta presentando l’opportunità di muoversi verso la soluzione dei grandi problemi di carattere ambientale. Ma di cosa si tratta realmente? È veramente un’opzione che, in un prossimo futuro, permetterà di sostituire la plastica tradizionale derivata dal petrolio? Esistono sfide che devono essere affrontate?
Certo il riconoscimento del valore e delle implicazioni delle nuove soluzioni tecnologiche richiede soprattutto la consapevolezza da parte dei consumatori. È necessario quindi investire perché si adeguino le conoscenze generali ai progressi della tecnologia.
Innanzitutto, cos’è una bioplastica? Secondo la definizione data dalla European Bioplastics, si tratta di un tipo di plastica che deriva da materie prime rinnovabili, oppure è biodegradabile, o ha entrambe le proprietà. Vanno anche distinte le fonti di partenza utilizzate per la realizzazione di questo tipo di materiale, che possono essere rinnovabili (mais, alghe, scarti vegetali) o fossili.
Un terzo gruppo che sta diventando sempre più popolare è quello delle plastiche tradizionali non biodegradabili, prodotte a partire da risorse rinnovabili anziché da combustibili fossili. Un esempio in questo senso il “polietilene verde” realizzato a partire dall’etanolo, che attraversa un processo di fermentazione da materiale organico e poi viene convertito in etilene polimerizzato. Il polietilene verde ottenuto da risorse rinnovabili è identico a quello ottenuto dal petrolio, possiede le stesse proprietà e può avere le stesse applicazioni.
Quali sono i reali vantaggi dell’impiego di bioplastiche? Consentono di ottimizzare la raccolta e la gestione dei rifiuti e di ridurre l’impatto ambientale, apportando vantaggi significativi al ciclo produzione-consumo-smaltimento. Con la giusta comunicazione si potrebbe ottenere anche una maggiore accettazione da parte del consumatore, un aumento della vita utile dei prodotti confezionati e il compostaggio dove possibile.
Per esempio, le stoviglie usa e getta e i contenitori monouso come gli imballaggi, hanno un enorme effetto sull’ambiente: sono difficili da riciclare se contaminati dal cibo e spesso non sono gestiti correttamente dal consumatore. Invece, se realizzati in plastica compostabile, possono essere smaltiti con i rifiuti organici e convertiti in compost. Su questa onda si stanno muovendo quasi tutti i produttori di capsule domestiche per il caffè.
Per esempio, le stoviglie usa e getta e i contenitori monouso come gli imballaggi, hanno un enorme effetto sull’ambiente: sono difficili da riciclare se contaminati dal cibo e spesso non sono gestiti correttamente dal consumatore. Invece, se realizzati in plastica compostabile, possono essere smaltiti con i rifiuti organici e convertiti in compost. Su questa onda si stanno muovendo quasi tutti i produttori di capsule domestiche per il caffè.
Quali sfide ci aspettano? Secondo recenti studi esistono dei passaggi che devono essere affrontati affinché si possa godere dei vantaggi delle bioplastiche in sostituzione di quelle tradizionali; il loro successo sul mercato sarà determinato proprio dai risultati che ne deriveranno. Si parla di:
1. Competitività del costo delle bioplastiche nei confronti di quelle tradizionali. Il successo di un prodotto lanciato sul mercato è determinato dal costo di adozione di un nuovo materiale rispetto alle opzioni già in commercio. L’elevato prezzo rispetto ai petrolchimici termoplastici rimane una delle cause della lenta adozione di imballaggi in bioplastica. Questa sfida è diventata particolarmente evidente nel 2014, quando il prezzo del petrolio greggio è crollato di circa il 55%.
Si tratta di una delle principali motivazioni che spinge le aziende a cercare di impiegare risorse presenti in abbondanza e a basso costo, come i rifiuti o i sottoprodotti derivanti da altri processi industriali. Vi sono studi e tentativi in corso per la realizzazione di materie prime per bioplastiche con siero di latte, scarti di di lavorazione vegetale o rifiuti di carne. Ci sono anche progetti più ambiziosi finanziati dalla Commissione europea, come Synpol, che si concluderà nel 2016. Lo scopo è di utilizzare rifiuti solidi urbani e fanghi di depurazione provenienti da impianti di trattamento.
2. Disponibilità delle materie prime. Secondo le previsioni l’Asia diventerà il principale centro di produzione di bioplastica nei prossimi anni, grazie anche a progetti di grande portata in Thailandia, India e Cina da cui proverranno, entro il 2020, oltre tre quarti di questi materiali. L’Europa, pur essendo in prima linea nella ricerca e nello sviluppo di tecniche produttive, non sembra possedere una forte capacità di fabbricazione, forse per mancanza di materia prima da impiegare. Sarà necessario evitare il conflitto, in alcuni casi evidente, tra risorse alimentari e materie prime necessarie alla produzione di bioplastiche. In secondo luogo dovranno essere individuate risorse sufficientemente abbondanti per rifornire le aziende produttrici. In Inghilterra una delle strade percorribili sembra quella che prevede l’utilizzo di lignina (un polimero componente del legno ricavabile da scarti di lavorazione dello stesso) o da rifiuti dell’industria cartaria.
3. Prestazioni e qualità rispetto a quelle tradizionali. Nella produzione della plastica tradizionale vengono usati additivi per conferire caratteristiche quasi uniche ai materiali; questa tecnica potrebbe essere utilizzata anche nell’ambito delle bioplastiche. Tuttavia, il mercato degli additivi per i polimeri a base biologica è ancora molto piccolo. I progressi più notevoli si notano nell’ambito del PLA (polimero a base biologica) che è ormai dimostrato di resistere a temperature di 100-140° e che lo rende un sostituto valido ad altre sostanze in più applicazioni.
Altro punto per la realizzazione di una buona bioplastica riguarda la necessità di generare un prodotto con caratteristiche costanti: la grande varietà di materie prime non sembra portare all’uniformità chimica. La scelta, la selezione e lo stoccaggio delle suddette devono essere stabiliti con criteri precisi e adeguati alla destinazione di utilizzo finale.
4. Grado di diffusione sul mercato. Negli ultimi anni il mercato delle bioplastiche, nonostante i numerosi ostacoli sopra evidenziati, è diventato sempre più competitivo in termini di costi ed è stato supportato sul piano legislativo dall’introduzione di standard e schemi di certificazione. In alcuni Paesi si è arrivati fino al divieto di utilizzo delle plastiche tradizionali per talune applicazioni, come i sacchetti per la spesa usa e getta (Italia in primis).
Diverse multinazionali hanno introdotto l’opzione green nei loro piani di crescita a lungo termine e nelle loro strategie innovative. Gli avanzamenti tecnici e di impiego possono interessare sia i produttori di materiali, sia chi si occupa di prodotti finiti. C’è un grande potenziale di innovazione e diversificazione dell’offerta, che prima si basava solo sulle plastiche tradizionali.
Tutti questi sono segnali che portano a pensare che una svolta concreta sia vicina e lo sarà ancor di più se i consumatori saranno informati sui reali vantaggi e le opportunità che questo settore sta proponendo. I produttori a loro volta potranno trarre vantaggio dal costante incremento della coscienza ambientale nella popolazione.
Le bioplastiche sono materiali innovativi che possono sostituire le plastiche in una vasta gamma di prodotti, perché, a parità di applicazione, offrono prestazioni del tutto analoghe a quelle delle loro controparti tradizionali. Attualmente i materiali “eco” si posizionano con successo in nicchie di mercato come quelle degli alimenti biologici o dei beni di lusso, spesso in forma di packaging dedicato. Un esempio ci viene da diverse industrie leader nella produzione di bevande hanno espresso l’intenzione di sostituire le bottiglie tradizionali in PET con il loro equivalente in materiale bioplastico (BIO-PET e PEF).
Di seguito alcuni esempi di applicazione in ambito alimentare, in fase di studio o già realizzati e che rendono l’idea delle forti potenzialità del mercato delle bioplastiche.
Film e sacchetti
I fogli in bioplastica possono essere usati per produrre sacchetti per rifiuti organici, buste per la spesa, pellicole per alimenti, pellicole termoretraibili per contenitori di bevande
Imballi per alimenti
Gli imballi per alimenti in bioplastica possono essere usati per confezionare diversi tipi di cibo, dai prodotti da forno all’ortofrutta, dalle caramelle alle spezie e bevande analcoliche. Sul mercato sono disponibili diversi tipi di imballi bioplastici compostabili.
Bicchieri, piatti e posate usa e getta
Gli oggetti usa e getta sono spesso impiegati per picnic, eventi all’aria aperta, contenitori di cibo monouso, nei catering e sugli aerei. Essi generano una grande quantità di rifiuti difficili da riciclare perché contaminati dal cibo. Se realizzati in plastica compostabile, possono invece essere smaltiti con i rifiuti organici e convertiti in compost.
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La bioplastica, una rivoluzione confusa
Il sacchetto del supermercato, il così detto shopper, ha sempre avuto un duplice scopo: sacchetto della spesa e sacchetto dell'immondizia. La sua capacità di contenere prima i pieni e poi i vuoti lo relegava indissolubilmente a questo ruolo.
Gli shopper del supermercato erano perfetti per capienza e robustezza. Resistevano a chili di spesa andando in crisi solo con quelle temutissime confezioni a spigoli vivi come il succo multivitaminico da 2 litri e le confezioni da tre di pomodoro in scatola.
Il suo servizio terminava dopo pochi giorni nel cassonetto ma la sua esistenza sulla Terra no, proseguiva quasi in eterno. Ecco il suo peccato! Per una sorta di patto con il diavolo si ritrovava a vagare reietto per centinaia d'anni nel nostro pianeta. Qualche decennio svolazzando sui bordi delle strade, anni appeso a un ramo e poi lunghi viaggi attraversando paesi, continenti e mari per finire nel Pacific Vortex, quell'area dell'oceano dove miliardi di sacchetti si danno appuntamento per fluttuare come grosse meduse su e giù, senza fine; dannati sacchetti di plastica!
Con la messa al bando degli shopper derivati dal petrolio (polietilene) quel collaudato meccanismo che ormai davamo per scontato si è incrinato. Nei supermercati propongono nuovi sacchetti in plastica biodegradabile realizzati con materie prime vegetali come il mais, il grano. Sono perfetti per raccogliere i rifiuti organici e si decompongono in pochi mesi nella compostiera.
I sacchetti in bioplastica sono meno resistenti e per questo di piccola taglia. Si lacerano soltanto a
Gli shopper del supermercato erano perfetti per capienza e robustezza. Resistevano a chili di spesa andando in crisi solo con quelle temutissime confezioni a spigoli vivi come il succo multivitaminico da 2 litri e le confezioni da tre di pomodoro in scatola.
Il suo servizio terminava dopo pochi giorni nel cassonetto ma la sua esistenza sulla Terra no, proseguiva quasi in eterno. Ecco il suo peccato! Per una sorta di patto con il diavolo si ritrovava a vagare reietto per centinaia d'anni nel nostro pianeta. Qualche decennio svolazzando sui bordi delle strade, anni appeso a un ramo e poi lunghi viaggi attraversando paesi, continenti e mari per finire nel Pacific Vortex, quell'area dell'oceano dove miliardi di sacchetti si danno appuntamento per fluttuare come grosse meduse su e giù, senza fine; dannati sacchetti di plastica!
Con la messa al bando degli shopper derivati dal petrolio (polietilene) quel collaudato meccanismo che ormai davamo per scontato si è incrinato. Nei supermercati propongono nuovi sacchetti in plastica biodegradabile realizzati con materie prime vegetali come il mais, il grano. Sono perfetti per raccogliere i rifiuti organici e si decompongono in pochi mesi nella compostiera.
I sacchetti in bioplastica sono meno resistenti e per questo di piccola taglia. Si lacerano soltanto a
Spagna, uomo muore incornato durante un encierro a Coria
Un uomo di 43 anni è morto dopo essere stato incornato per due volte da un toro nel corso di un 'encierro', nella città di Coria, nel sud-ovest della Spagna. Le autorità locali hanno spiegato che l'uomo si trovava in piedi insieme ad altri spettatori dietro le sbarre protettive dell’arena quando l’animale lo ha caricato, trafiggendolo con una delle sue corna all'addome e al torace.
Il 43enne, che proveniva da un villaggio vicino, è stato rapidamente soccorso e trasferito in ospedale, dove però è deceduto in seguito alle ferite riportate. Il video della carica è stato pubblicato su diversi media spagnoli, alimentando le polemiche intorno alla pericolosità di queste tradizionali manifestazioni estive, nelle quali centinaia di persone corrono con i tori.
Il più famoso encierro è senza dubbio quello che si svolge nella città di Pamplona, in Navarra, nei giorni tra il 7 ed il 14 luglio, in occasione della Festa di San Firmino.
Fonte: adnkronos
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