In Nepal si interrompe una tradizione che durava da 265 anni, tutto per amore degli animali. È stato infatti sospeso a tempo indeterminato il Gadhimai Festival, il più grande evento che prevede sacrifici animali al mondo. In ogni edizione del Festival – che finora si è svolto ogni cinque anni nel paese asiatico venivano sacrificati circa 500 mila animali: da quest’anno, quindi, mezzo milione di animali saranno salvati. La tradizione, come detto, ha origini antichissime: Bhagwan Chowdhary, fondatore del Tempio Gadhimai, avrebbe ricevuto in sogno il messaggio della dea Gadhimai. In esso gli si chiedeva un sacrificio umano in cambio della libertà dalla prigionia, della protezione dal male, di prosperità e potere: alla dea arrivò un animale sacrificato al posto dell’uomo, ma lei lo accontentò lo stesso.
Nepal, stop al Gadhimai Festival: salvi 500 mila animali
In Nepal si interrompe una tradizione che durava da 265 anni, tutto per amore degli animali. È stato infatti sospeso a tempo indeterminato il Gadhimai Festival, il più grande evento che prevede sacrifici animali al mondo. In ogni edizione del Festival – che finora si è svolto ogni cinque anni nel paese asiatico venivano sacrificati circa 500 mila animali: da quest’anno, quindi, mezzo milione di animali saranno salvati. La tradizione, come detto, ha origini antichissime: Bhagwan Chowdhary, fondatore del Tempio Gadhimai, avrebbe ricevuto in sogno il messaggio della dea Gadhimai. In esso gli si chiedeva un sacrificio umano in cambio della libertà dalla prigionia, della protezione dal male, di prosperità e potere: alla dea arrivò un animale sacrificato al posto dell’uomo, ma lei lo accontentò lo stesso.
Italia: per la prima volta frutta e verdura battono la carne
È una piccola grande rivoluzione per i consumi italiani. Per la prima volta nella storia, infatti, la spesa per frutta e verdura ha sorpassato quella per la carne, ed è oggi la prima voce del budget alimentare delle famiglie. È quanto emerge da un’analisi della Coldiretti, basata sui dati e sulle statistiche Istat dal 2000 a oggi e presentata durante la Giornata dell’ortofrutta al Padiglione Coldiretti a Expo, alla presenza del Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali Maurizio Martina. Secondo i dati, la spesa per frutta e verdura rappresenta il 23% del totale (circa 99,5 euro al mese per famiglia), appena sopra la carne, che si ferma al 22% (e i 97 euro al mese). Uno scalino, tra le due voci, che è decisamente piccolo ma rivoluzionario: mai, infatti, la carne aveva perso il primato nella spesa degli italiani.
L’aumento del consumo di frutta e verdura, secondo la Coldiretti, ha fatto nascere nuove opportunità professionali: a Expo, ad esempio, ci sono i sommelier che consigliano il tipo migliore di frutta da abbinare a un pasto, ma anche gli scultori che realizzano vere e proprie opere d’arte partendo dalle verdure, per finire con gli esperti di coltivazione e di orti. Il risultato italiano, in realtà, segue il trend globale che punta sempre più verso il «riconoscimento del valore alimentare della frutta e della verdura», ha detto il presidente di Coldiretti Roberto Moncalvo, secondo «l’Italia ha il primato europeo nella produzione che genera un fatturato di 13 miliardi con 236.240 aziende che producono frutta, 121.521 che producono ortaggi, 79.589 patate e 35.426 legumi secchi».
Negli ultimi anni, inoltre, c’è stato un diffuso aumento dell’interesse verso la coltivazione “fai da te” di lattughe, pomodori, piante aromatiche, peperoncini, zucchine, melanzane, piselli, fagioli, fave e ceci. Insomma, sempre più gli italiani vogliono il proprio “orto domestico” da cui raccogliere i prodotti che dopo poche ore finiranno sulla propria tavola. «Adesso – continua la ricerca – la passione si sta diffondendo anche tra i più giovani e tra persone completamente a digiuno delle tecniche di coltivazione. Un bisogno di conoscenza che è stato colmato con il passaparola e con le pubblicazioni specializzate».
Fonte: Vegolosi
Zebraburger: ad Expo nuovi animali da assaggiare
Zebraburger: ad Expo nuovi animali da assaggiare Forse la carne di coccodrillo non era abbastanza, quindi ecco che la novità del padiglione dello Zimbabwe apre anche alla carne di zebra. Forse alla fine del mese, forse fra qualche settimana, come annuncia il sito Milano Today, lo zebraburger sarà una realtà ed è annunciato da cartelli appesi alle porte d’ingresso della sezione dedicata al paese africano nel cluster tuberi e cereali con questo slogan “Non sono un asino, sono solo un cavallo bianco sfortunato”. L’immagine, come accaduto la scorsa volta con il coccodrillo, è un disegno pacioso e colorato.
E’ davvero una novità?
Anche in questo caso la carne sarà servita, come riferiscono i dipendenti dello spazio dello Zimbabwe, direttamente in un burger ma ancora non si conoscono il prezzo e la data esatta in cui verrà davvero servito. Come per la carne di coccodrillo il problema sono i permessi da parte dei nostri ministeri per l’importazione delle derrate di queste carni “esotiche”. La carne di zebra non è una novità: viene venduta anche online. Un esempio è il sito Musclefood.com che tratta “cibo dedicato agli sportivi”. La carne di zebra viene presentata come “molto magra e dal sapore più delicato del manzo, si prende dal quarto posteriore solo dalle zebre Burchell’s, le uniche che, legalmente, possono essere allevate per l’alimentazione umana”.
Ci sorprende?
Ci sorprende davvero la futura presenza di questa “nuova” carne ad Expo? Per niente. Il messaggio di questa manifestazione è sempre più chiaro: trovare una risposta alla fame nel mondo significa non rivedere quelle che sono le nostre abitudini alimentari, riflettendo seriamente sull’impatto delle nostre scelte e di quelle dell’industria a, cercando di capire che l’assenza di cibo sufficiente per tutti è dovuta principalmente alla gestione scellerata delle risorse ed in particolare delle fonti vegetali e dell’acqua che vengono utilizzate per la maggior parte per nutrire gli animali di allevamento, bensì trovare nuovi animali da mangiare: coccodrilli, zebre, serpenti, insetti. Il nostro pianeta è popolato da 280 milioni di bovini (Fonte: “Ecocidio” Jeremy Rifkin”) e “il rapporto di conversione da mangimi animali a cibo per gli umani varia da una specie all’altra, ma è in media molto alto, 1:15″: un simile spreco di calorie, una gestione così squilibrata di investimento-resa non sarebbe tollerato in nessun sistema produttivo “sano”. In zootecnia questo si chiama “indice di conversione”: quanto cibo “entra” in un animale e quanto ne “esce”. Per non parlare degli “scarti” ossia tutto quello che va poi ad altre industrie non alimentari (pellame, ossa, cartilagini etc.). Per un chilogrammo di manzo servono dai 7 ai 10 chilogrammi di mangime. Non si tratta più nemmeno di questione etica: si tratta di economia. Chiediamo agli organizzatori di Expo: esiste nel programma culturale e di approfondimento della manifestazione una conferenza, un incontro di carattere internazionale che affronti il problema dell’indice di conversione e del suo impatto sull’economia? Forse dovrebbe, anzi senza forse.
Federica Giordani
Fonte: Vegolosi.it
Rifiuti di plastica: 8 pratici consigli per ridurli
Da quando nel 1855 il chimico svizzero Georges Audemars riuscì a produrre in laboratorio il primo materiale plastico, il rayon, è stato tutto un susseguirsi di ricerche ed esperimenti che hanno portato a una diffusione sempre più capillare di questi prodotti e oggi ormai, la plastica è protagonista di ogni momento della nostra vita.
Con la plastica lavoriamo, mangiamo, la ritroviamo nelle auto che guidiamo, nei giocattoli che compriamo per i nostri bambini, nei prodotti cosmetici per la nostra igiene personale e nei prodotti per l’igiene della casa. Ci appare impossibile poterne fare a meno, eppure molti anni fa si viveva benissimo anche senza, e oggi abbiamo la tecnologia che ci dà un aiuto in più.
Non è poi così difficile cambiare alcune delle nostre abitudini. Con un piccolo sforzo iniziale e un po’ di organizzazione, possiamo ridurre moltissimo l’uso di questi materiali e quindi anche l’accumulo dei loro rifiuti che vanno a finire in discarica o nei nostri mari, dove impiegano centinaia di anni per degradarsi e anzi, si riducono in frammenti ridottissimi che entrano a far parte delle catene alimentari, con i danni che questo comporta.
Neanche l’eventuale riciclo riesce ad annullare (visti anche i costi in termini monetari e di energia) l’enorme impatto ambientale di questi polimeri derivanti dal petrolio. Ecco allora cosa possiamo fare:
- Non usare sacchetti in plastica per lo shopping – Le borse di plastica danno un contributo davvero importante all’inquinamento, soprattutto dei mari, basti pensare che sono un trilione i sacchetti che vengono utilizzati ogni anno in tutto il mondo. Riutilizzare lo stesso sacchetto più volte per fare la spesa può sicuramente aiutare, ma si può fare di più: esistono bags in tessuto o materiali naturali che possono essere riutilizzate praticamente all’infinito e che risultano anche più resistenti. La tecnologia ha inoltre scoperto delle formulazioni che vengono elaborate a partire da sostanze naturali e che le rendono, dopo il loro uso, completamente biodegradabili e compostabili, un esempio per tutti, le shopper in Mater-Bi, realizzate a partire dal mais dell’Italiana Novamont.
- Non comprare acqua in bottiglia – Ormai si è diffuso l’uso di acqua in bottiglia, ritenuta più pura perché di “sorgente”. Molti studi hanno evidenziato però come la qualità dell’acqua di casa, la maggior parte delle volte, non sia inferiore a quella dell’acqua di bottiglia. A volte può risultare troppo ricca di calcare o di cloro, ma a questo si può sopperire con l’uso di caraffe con il filtro oppure con un depuratore con filtri ai carboni attivi, non particolarmente costoso.
- A lavoro portare il caffè con un thermos – Il caffè della macchinetta viene servito in bicchieri di plastica usa e getta e tra l’altro spesso non è di qualità così eccelsa. La soluzione ad entrambi i problemi potrebbe essere portare al lavoro del buon caffè fatto in casa tenuto in caldo in un thermos.
- Ridurre il packaging alimentare e sceglierlo in carta, cartone o tetrapack – Nell’era del consumismo ogni prodotto che troviamo al supermercato ha anche la sua versione “monodose”, adatta per piccoli usi o per le persone single, ma spesso organizzandoci meglio possiamo anche prendere confezioni più grandi (che ci fanno pure risparmiare) e ciò che non viene consumato subito si può ad esempio congelare. È possibile poi optare per confezioni in carta, cartone o tetrapack, che oggi in Italia viene riciclato con la carta. Il loro riciclo ha un impatto molto più ridotto rispetto a quello della plastica.
- Acquistare prodotti sfusi – Sia per il settore alimentare che per quello della cosmesi, come per l’igiene della casa, esistono ormai sempre più punti vendita che propongono il commercio di prodotti sfusi. La qualità è la stessa, i controlli garantiscono che si tratti di prodotto fresco e possiamo acquistarli riutilizzando sempre gli stessi contenitori. Per i prodotti alimentari spesso sono disponibili anche sacchetti di carta.
- Pannolini e assorbenti – La plastica viene usata anche per la realizzazione di pannolini per neonati, per anziani e per gli assorbenti per la donna. Qui il suo utilizzo è a senso unico perché per questi prodotti non è previsto il riciclo, vengono infatti smaltiti nell’indifferenziato, finendo inevitabilmente in discarica o all’inceneritore. Esistono però pannolini in tessuto che possono essere lavati dopo l’uso. Richiedono sicuramente uno sforzo in più, ma possono ridurre l’enorme impatto di questo tipo di rifiuti. Per quanto riguarda gli assorbenti femminili oggi ne esistono anche di compostabili, che una volta usati possono essere quindi gettati nell’umido. In alternativa anche questi esistono in versione lavabile, oppure è in commercio da qualche anno la cosiddetta “coppetta mestruale”. Viene inserita all’interno e raccoglie il flusso invece di assorbirlo. Può essere realizzata in silicone anallergico, silicone platinico o in elastomero termoplastico (TPE), può essere poi lavata e sterilizzata.
- Comprare giocattoli in legno – Un po’ la moda, un po’ una maggiore sensibilità ambientale, ha già riportato in auge il fascino dei vecchi giochi in legno. Dagli strumenti musicali alle costruzioni fino alla casa delle bambole, esistono sempre più negozi specializzati o linee di una certa marca che rilanciano il legno come materiale per i giochi dei più piccoli. Un modo per giocare in maniera sostenibile, recuperando anche un po’ il piacere dei giochi della tradizione.
- Eliminare l’usa e getta – Dai sacchetti per il freezer ai rasoi, l’usa e getta presenta sempre un’alternativa. Ad esempio per congelare è possibile munirsi di contenitori in vetro, che sono anche più sicuri perché non rilasciano ftalatinel cibo che mangiamo, mentre per l’epilazione, sia maschile che femminile, esistono rasoi in cui è possibile cambiare solo la parte della lama. Oggetti poi come le cannucce in plastica, che non sono essenziali, possono essere tranquillamente eliminate.
Fonte: Greenstyle
Bioplastiche: poliuretano sostenibile grazie agli oli vegetali
Per ridurre l’impatto ambientale della produzione della plastica, un team di ricercatori americani ha ideato un nuovo metodo che consente di ricavare materie plastiche dagli oli vegetali.
La ricerca è stata coordinata da Michael Kessler, docente della Washington State University’s School of Mechanical and Materials Engineering. I ricercatori della WSU hanno lavorato a stretto contatto con i ricercatori della Iowa State University e dell’Università de Il Cairo. Lo studio, pubblicato sulla rivista specializzata ACS Applied Materials & Interfaces, descrive una nuova tecnica per la produzione del poliuretano che utilizza olio di oliva, olio di lino e altri oli estratti dalle piante.
I ricercatori stanno esplorando da tempo nuovi metodi più sostenibili per produrre il poliuretano. Questo tipo di plastica è molto resistente e può essere impiegata con successo in diversi processi industriali. Per produrre il poliuretano attualmente si utilizza il petrolio.
Le fonti fossili hanno un alto impatto ambientale. La loro estrazione comporta un processo energivoro e invasivo. Inoltre non si tratta di materie prime illimitate. Senza contare che gli oggetti in plastica, sia mentre vengono utilizzati che a fine vita, comportano diversi rischi sotto il profilo sanitario e per quanto riguarda l’inquinamento ambientale.
L’équipe guidata dal professor Michael Kessler ha pertanto cercato di creare unpoliuretano ecologico. Non è la prima volta che la scienza si cimenta in un una simile impresa. In passato sono stati già prodotti dei poliuretani a base di materiali vegetali. Il merito di questa ricerca è di aver prodotto il poliuretano da oli vegetali in pochi passi, ricavando un materiale estremamente versatile che può essere impiegato per realizzare oggetti dalle forme più disparate e molto flessibili.
Un altro vantaggio degli oli vegetali è la loro ampia disponibilità in natura. Anche i costi, rispetto al petrolio, sono nettamente inferiori. Gli oli vegetali sono inoltre materie prime rinnovabili e possono essere manipolati geneticamente per migliorare le rese. I ricercatori americani hanno già avviato una serie di sperimentazioni per produrre poliuretano ecologico.
La bioplastica è stata ottenuta da diversi tipi di olio: olio di oliva, olio di colza, olio di semi di lino, olio di semi d’uva e olio di ricino. Il processo non ha richiesto l’utilizzo di solventi a base di petrolio, a dispetto di quanto avvenuto nelle sperimentazioni effettuate in passato da altri gruppi di ricerca. La produzione di bioplastica è avvenuta inoltre senza impiegare catalizzatori.
In base alle caratteristiche desiderate per il prodotto finale, gli scienziati hanno impiegato oli differenti nel processo. Alcuni oli, come l’olio di semi di lino, sono stati utilizzati per ottenere materiali più rigidi. Altri, come l’olio d’oliva, sono stati impiegati per ricavare plastiche più flessibili.Il poliuretano è stato ottenuto dalla combinazione di due composti chimici. I ricercatori hanno innescato una reazione utilizzando il poliolo, un composto con più gruppi funzionali ossidrilici.
Kessler ha paragonato il processo alle costruzioni con i Lego, affermando che questo metodo apre prospettive interessanti per l’industria delle bioplastiche. Solo nel 2010 nel mondo sono state prodotte ben 4 milioni di tonnellate di poliuretano. Secondo le stime, nel 2016 la produzione è destinata a subire un incremento del 30%. Scovare nuove tecniche produttive più sostenibili diventa dunque prioritario.
Fonte: Greenstyle
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